Faceva un gran caldo
durante quell’agosto 1986, specialmente a Foggia; la squadra locale, presieduta
da un certo Pasquale Casillo, veleggiava in acque burrascose, per illecito
sportivo era già stata condannata ad una retrocessione in C2 (pena che poi fu
alleggerita in un passivo di otto punti nella successiva C1, salvando così la
categoria).
Di certo fino ad ora
la parola “bellezza” non ha molto a che fare con questa storia, che sembra
ahimè una delle innumerevoli (quasi classiche) storie di una delle squadre
della nostra provincia calcistica; ma la svolta arriva grazie ad una di quelle
insulse amichevoli estive che tanto piacciono agli addetti ai lavori: il Foggia
incontra il Licata.
Il Licata all’epoca
viveva il momento più alto della sua storia e a sedere in panchina c’era un
certo boemo chiamato Zdeněk Zeman,
questo non era un nome nuovo al braccio destro di Casillo, Peppino Pavone, che
lo aveva visionato più di una volta. Alla fine dell’amichevole il boemo non
tornò in Sicilia, Zdeněk aveva una nuova squadra: il Foggia.
Come ogni bella storia
probabilmente la cronistoria delle gesta di quel “Foggia dei Miracoli”, targato
ZZ, non avrebbe senso, non avrebbe senso quantificare l’amore e la stima che il
boemo si guadagnò nel capoluogo dauno; addirittura a quel tempo persino il nome
“Foggia” era desueto, si usava “Zemanlandia”.
Qualcuno, allora,
pensò che quell’allenatore così bravo, con un gioco così fresco meritasse ben
altri palcoscenici e nel 94’ il boemo venne portato nella Capitale, sponda
nord, sponda laziale; qui seguirono cinque anni (tre laziali, due romanisti) in
cui il bel calcio di certo non mancò, a mancare però, furono i trofei di
spessore; costante, questa, che il boemo si trascinerà avanti per decenni.
Trascorse un decennio
dopo le esperienze romane, un decennio di pellegrinazione in quasi ogni corte d’Europa;
tentò anche di rimettere in piedi quel giocattolo meraviglioso che era stato il
“Foggia dei miracoli”, senza però, riuscirci.
Ed è a questo punto
della storia che scoppia la seconda scintilla della carriera del boemo, scoppia
neanche troppo lontano dalla “sua” Foggia, scoppia a Pescara. In sintesi: il 21
giugno 2011 diventa l'allenatore del Pescara, in Serie B; il 20 maggio 2012
riporta la squadra adriatica nella massima serie dopo diciannove anni, vincendo
il campionato contro un Torino formato rullo compressore per la serie cadetta;
gli abruzzesi totalizzano 83 punti in 42 partite, conditi da 90 gol (miglior
attacco del campionato), la maggior parte di questi merito di quel magico
tridente che il boemo regala al calcio nostrano: Verratti, Insigne e Immobile.
L’esperienza pescarese
non fa altro che sottolineare come “Zemanlandia” non sia una città o una
squadra, non è un modulo o una minestra già pronta che all’occorrenza si può
riscaldare; Zemanlandia non è altro che un bellissimo castello di carta che ha
bisogno di tempo e fatica per essere costruito e che con una minima variazione
può crollare su se stesso, lasciando dietro di sé una squadra alla deriva ed
una piazza stordita, spesso di gioia, che si rifiuta di fare i conti con la
cruda realtà.
La cruda realtà è che
il Foggia o il Pescara o il Licata non potranno mai essere il Real, il Bayern o
il Barcellona; questione di soldi, questione di tradizione, questione di ambiente;
ecco, questa “cruda realtà” che ai più può sembrare una banale affermazione
oggettiva e difficilmente attaccabile per un tifoso che viene dalla Zemanlandia
di turno è un’offesa personale, quasi una bestemmia;
“Lo dicono tutti i
giornali, il Pescara in Europa è seconda solo al Barca”
Ecco, al netto di
quella stagione trionfale il Pescara senza tridente e senza Zeman naufragò in
un mare di gol (questa volta subiti) e di sconfitte; i tifosi impattarono
contro una verità dura, cattiva, dalla quale si ripresero con molta fatica.
Zeman nella sua
longeva carriera da allenatore non hai mai vinto niente di rilevante, neanche
una Coppa Italia; si può definire allora Zdeněk Zeman come “un perdente”?
Certo che sì, se per
il tifoso il calcio è solo vittoria, punti, gloria, trofei, prevaricazione
costante e incolore sull’avversario; se, invece, per il tifoso il calcio è
anche bellezza, romanticismo e passione; beh allora il boemo non è altro che un
nonno che offre ai propri nipoti (noi tifosi) un altro giro sulla giostra della
felicità, un altro giro a Zemanlandia.
La questione è questa
“Quanto conta per lei la bellezza?”
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